È stato rintracciato in una Collezione Privata, proveniente dallo studio del pittore, un Nudo, che potrebbe risalire agli studi eseguito nel ’59. In quell’anno Carcano ha voglia di accorrere oltre Ticino, per arruolarsi in mezzo a quei soldati piemontesi che aveva tanto copiosamente scombiccherati sui quaderni di scuola, ma viene dissuso dalla famiglia a causa del precedente del fratello, morto pazzo per una palla in fronte ricevuta nel ’48. Filippo rimane a studiare e a lavorare indefessamente. Presenta all’Esposizione di Belle Arti Cristo tentato da Satana (opera dispersa), Nudo: dipinto dall’azione aggruppata (opera dispersa) e Nudo: dipinto dall’azione semplice, che potrebbe essere l’olio su carta ritrovato nella collezione degli Eredi Carcano. L’uomo del dipinto, appoggiato ad una pertica, è nella tipica posizione utilizzata in Accademia per studiare le ombre e gli effetti plastici dei muscoli. Alcune incertezze nel disegno, in particolare nella pertica, dimostrano la precocità di questa carta che si caratterizza per il gradevole colorismo, assicurato dallo sfondo grigio-verde, e per la sottile morbidezza atmosferica.
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Il girovago, 1870

Il girovago o La serenata, 1870, olio su tela, cm71X61, firmato “Carcano Filippo” e datato in basso a sinistra, Milano, Collezione Privata
Il girovago è esposto all’Esposizione annuale di Brera nel 1870. Carcano ha trent’anno e risiede in via Vivaio al 4, entro il quartiere delle ortaglie frequentato da tanti artisti scapigliati. Il quadro è un esempio della caratteristica scena di genere carcaniana, che predilige ambientazioni semplici e quotidiane e soggetti umili. Se il soggetto è riconducibile ad analoghe opere di Domenico Induno, l’approccio di Carcano non è aneddotico, ma improntato a una spontanea e diretta osservazione del vero. Il giovane ritratto in primo piano, intento a suonare forse anche una serenata, è difatti sicuramente un girovago, un menestrello, che si procaccia da vivere cantando e inscenando spettacoli con i cani accucciati ai suoi piedi (è visibile appoggiato al muro di destra il cerchio entro cui probabilmente gli animali saltavano). Si tratta di una delle tante vedute che caratterizzarono la produzione dell’artista nel decennio a cavallo degli anni Settanta. In questo caso, tutto è giocato sull’efficace contrasto tra la luminosità della luce solare che investe le case e le figure sulla sinistra del quadro ed il netto, continuo, contrapporsi dell’ombra del muro di cinta. Il preciso effetto prospettico, che si attua nell’allungarsi della via stretta tra muraglie di case, è dunque accentuato dall’esatto utilizzo dei mezzi luminosi. Lo sguardo è così attratto in lontananza, abbracciando in una visione unitaria i numerosi particolari della scena: una carriola abbandonata, una donna sul balcone che sta gettando qualcosa alla bambina giù in strada, e una serie di macchiette, intente chi ad ascoltare chi a discutere, disposte lungo la via, sino al carretto che si perde sotto l’arcata. Sullo sfondo lascia intravedere, con accresciuto effetto prospettico, un nuovo tratto di strada. La visione è nitida, i colori si distendono in pennellate uniformi: accanto all’azzurro deciso del cielo, risalta il rosso richiamo dei fiori alle finestre ed il prospetto chiaro e quasi dorato delle case. È interessante notare come i cani sembrino osservare con diversità d’interesse (stancamente l’animale di destra, con più attenta curiosità l’altro) un punto preciso di fronte a loro, come se qualcosa, il pittore stesso o uno spettatore occasionale, avesse destato la loro attenzione. Ciò provoca, volutamente o meno, un attivo coinvolgimento di chi guarda la scena, rendendo così l’osservatore casuale passante in quella via assolata di una lontana giornata estiva.
Una lezione di ballo, 1865

Una lezione di ballo o La scuola di ballo, 1865, olio su tela, firmato in basso a sinistra Carcano Filippo, cm133x168, Torino, Galleria d’Arte Moderna
La lezione di ballo di Carcano appartiene a un piccolo gruppo di opere che segna una fase innovativa nel percorso del pittore. In un sontuoso e ampio salone il maestro sta insegnando alcuni passi a un’allieva molto concentrata. Nel vasto spazio il pittore dispone gruppi diversi, che anziché convergere in un unico punto, reclamano ciascuno un’osservazione separata. Intorno ai due danzatori vari personaggi partecipano alla scena, in una straordinaria rassegna di atteggiamenti e di sentimenti: c’è la ragazza sull’estrema sinistra che sembra abbandonata ai suoi pensieri, vi sono un uomo e una donna che conversano, tre giovani fanciulle che osservano la lezione. Poi il violinista e il pianista che fanno il loro dovere, un gruppo di tre che sembra impegnato nell’organizzazione di qualche evento mondano e una bellissima figura femminile, vista di spalle, assisa davanti ad una delle finestre che illuminano la sala, colta mentre sta dialogando con un uomo con i baffi. Tutti i particolari sono avvolti da un’atmosfera dorata e l’ambiente è tranquillo. Carcano sceglie come soggetto un tema di vita contemporanea e la scena è reale: la scuola, per usare le sue stesse parole, era quella del Poletti dove un tal Grillo dava nel pomeriggio lezione alle ballerine della Scala. Ma come mai un pittore come Carcano frequenta una scuola di danza per ballerine in erba? È lo stesso Filippo a risponderci: noi vi andavamo la sera a ballare e anche a tirare di scherma, per far piacere a Felice Cavallotti, il quale, per sdebitarsi col proprietario, gli scrisse, si può dire sotto dettatura, un Manuale di danza, che porta appunto la firma del Poletti. Ma s’infuriava se lo raccontavamo fuori di lì… Carcano dipinge La lezione di ballo perché ritiene che il pubblico possa apprezzare un soggetto direttamente tratto dalla vita reale, nella sua flagrante verità ottica; un tema reale e prosaico adatto al pubblico borghese in ascesa. In questo non solo dimostra coraggio, ma anche di essere un artista á la page, fine interprete del tempo in cui vive. I potenziali compratori dei quadri esposti a Brera cercano opere in cui sia rappresentata la loro stessa vita, che li legittimi nelle loro attività di svago. Ma questo non può essere digerito da tutti i suoi contemporanei, che davanti alla modernità delle sue tele, reagiscono enfatizzando il sospetto della fotografia in maniera ridicola. La lezione di ballo, appesa nella sala di Brera in occasione dell’Esposizione, provoca subito reazioni di rifiuto. Sulla tela grava il feroce sospetto di alcuni critici che il pittore abbia operato direttamente coi colori su immagini fotografiche riportate sulla tela con metodi meccanici. Le polemiche, anche aspre e violente, sono condotte principalmente dal Mongeri, dalle colonne della “Perseveranza” e, sulla scia di questo, dal Cosmate de “Il Pungolo”. Pure il temuto Hayez si esprime a proposito della tela: Molto bene, ma non vorrei ch’Ella s’avvalesse della fotografia. Carcano – come riferisce – resta di stucco. Sappiamo che lo stesso Hayez ha usato la fotografia per il Ritratto della contessina Antonietta Negroni Prati Morosini bambina. Il radicale richiamo all’attualità e al vero presente nella Lezione non poteva assolutamente piacere alla critica tradizionalista. Nel clima di una cultura artistica dominata dal progresso scientifico, trova legittimazione tra i pittori impegnati nella resa del vero, l’utilizzazione della fotografia come mezzo per impostare l’immagine e per avvicinarsi alla realtà, grazie alla singolarità di certi tagli e alla possibilità, finora inesplorata, di catturare l’attimo. Nel caso di Carcano il problema appare piuttosto complesso, dal momento che lo spazio raffigurato nei suoi dipinti si rivela di tali dimensioni e ampiezza da non poter essere inquadrato dall’obiettivo. Il pittore non sa come scagionarsi, si trovava impigliato in così fitta rete da non poterne in alcun modo balzar fuori; cerca di difendersi dalle accuse inviando egli stesso lettere ai giornali e prospettando la possibilità di rivolgersi a un tribunale, ma ormai il dubbio si insinua in molte persone. Arriva anche a esibire una dichiarazione, rilasciata da un fotografo su sua richiesta, che certifica l’impossibilità di riprendere con la macchina fotografica tutto lo spazio raffigurato nella tela in questione. Ciò che brucia a Carcano non è quindi l’accusa di essersi servito di fotografie per studiare alcuni tagli o pose dei personaggi, cosa che, di fatto, egli può veramente sperimentare, ma quella di essersi servito di una fotografia come di un disegno o di uno studio preparatorio da trasportare tout court sulla tela. L’abilità tecnica dell’artista si rivela anche nell’utilizzazione delle variazioni tonali dei colori, al fine di dare un’unitaria visione prospettica dello spazio. Secondo il Comanducci infatti La lezione di ballo è già interessante per la ricerca di quell’unità atmosferica che fino allora ai quadri di ambiente e di genere era mancata, confermando la decisa prevalenza assunta ormai dal colore rispetto al disegno. Secondo il critico Virgilio Colombo quando le tele del giovane pittore cominciarono a lasciare una profonda impressione nel pubblico e gli artisti stessi, deposto il pennello ed alzato il capo, si videro d’innanzi una così robusta individualità, subito l’invidia, cavatasi qual gufo di tana, sbattendo intorno le sconcie ali intraprese l’opera sua. Carcano stupefatto e addolorato vide crollare l’edificio che colla pazienza e coll’ingegno in tanti anni aveva innalzato. Fu un sorrisetto, fu un cenno, una parola sussurrata, uno stringersi nelle spalle; … finalmente tutti seppero e fu proclamata la grande verità; che il Carcano non era un artista, ma il fortunato possessore di un processo col quale ciascuno avrebbe potuto dipingere dalla fotografia, usando di certe carte reticolate di colori speciali, di miscugli segreti. In seguito alla polemica, il giovane artista resta isolato nell’ambiente milanese (i cenacoli artistici gli sono avversi e non riesce a guadagnarsi il pane perché nessuno vuole acquistare le sue opere. L’artista si trovò in tal modo ritardata di dieci anni la carriera... Nel momento di sconforto, Carcano ha la fortuna di conoscere una giovane donna d’umili origini, Anna Brusadelli, detta la sciora Annetta, che lo conforta in questi tempi difficili. È ovvio che con una fidanzata così dolce Carcano non si perda d’animo e continui a dipingere, lavora assiduamente, si dibatte contro il destino con tutte le forze. La Lezione di ballo divenne nel 1872 proprietà della famiglia Botta Ghisio, come è emerso dalle ricerche condotte alla Galleria d’Arte Moderna di Torino. Nel suo archivio si conserva una scarna ma interessante documentazione, tra cui un autografo dello stesso Carcano, che nel 1911 chiede alla proprietaria Vittoria Botta se è disposta a vendere il quadro, ottenendone un cortese rifiuto.
Galleria di immagini

A giudicare dalla meticolosa descrizione degli abiti emerge il ragionevole dubbio che Carcano abbia aiutato il padre nella suo negozio di tessuti

ll vetro del bell'orologio Biedermeyer diventa per il pittore un interessante cimento nella resa del riflesso, degno di un'artista fiammingo

Il secondo lampadario è di bronzo con delle aquile scolpite copricatena di velluto cremisi, in stile ottocentesco neomedioevale

Il maestro Poletti è impegnato con un'aspirante ballerina in vestito blu decorato sul corpetto da alamari neri. Il goro vita è segnato da una cintura gialla, mentre spunta dalla sottana una graziosa crinolina ricamata

Il segretario della scuola è seduto dietro lo scrittoio, di cui si percepisce l'intaglio ligneo, nella stanza in fondo. Sembra che il suo sguardo si posi sulla presenza del pittore

Un giovane con i baffetti in piedi e una donna di spalle seduta dialogano illuminati dalla luce radente della finestra

Come riferiva lo stesso Carcano la scuola era di un tale Poletti (Giovanni) e il pittore le frequentava alla sera per ballare e per tirare di scherma. Il Cavallotti aveva scritto per il Poletti un manuale di danza, che in effetti fu pubblicato a Milano nel 1867. Il volumetto è in vendita presso lo "Studio Bibliografico Amor di Libro" di Mila Sermi, Pistoia
Federico Barbarossa ed Enrico il Leone a Chiavenna, 1862

Federico Barbarossa e il duca Enrico il Leone a Chiavenna, 1862, olio su tela, cm175x235, Milano, Pinacoteca di Brera, in deposito presso l’Avvocatura dello Stato, Palazzo di Giustizia, corso di Porta Vittoria, Milano.
Il giovane Carcano, allievo di Hayez dal 1857, vince nel 1859 un pensionato triennale per allievi promettenti. I biografi raccontano che in questi anni di formazione il giovane artista non pensa ad altro che a ottenere medaglie per convincere il padre della bontà della sua scelta professionale. Nel 1862 – anno in cui lascia Brera meritando una menzione onorevole per l’esperimento finale delle Scuole superiori di pittura riunite – espone la tela Federico Barbarossa e il duca Enrico il Leone a Chiavenna. Con quest’impegnativo quadro di grandi dimensioni, Carcano ottiene il primo premio della sua vita d’artista: quello dell’Istituzione Canonica. Il soggetto richiesto è l’illustrazione di “un fatto di generale importanza, tratto dalla storia italiana del XII e del XIII secolo”. Lo stesso tema era stato affrontonto nel 1848 da Philip Foltz (11 Maggio 1805 – 5 Agosto 1877), nel quadro conservato al Maximilianeum di Monaco di Baviera, in maniera diversa.

Philip Foltz (11 Maggio 1805 – 5 Agosto 1877), Kaiser Friedrich Barbarossa un Herzog Heinrich del Löwe in Chiavenna, 1848, Monaco di Baviera, Maximilianeum
Il tema scelto dal giovane Carcano rimanda alle vicende italiane della metà del XII secolo: il Duca di Baviera e di Sassonia Enrico XII il Leone, cugino e avversario di Federico I detto il Barbarossa, rifiuta all’imperatore l’appoggio militare, determinandone così la sconfitta a Legnano (29 maggio 1176). La vittoria dei Comuni lombardi è una delle prime con un valore “nazionale”. Carcano sceglie di rappresentare il momento del rifiuto di Enrico il Leone al Barbarossa, antefatto della vittoria di Legnano. Narrano le fonti coeve che Enrico si allontanò dall’Italia lungo la via del lago, diretto ai valichi dello Spluga e del Maloja. Il cugino imperatore lo fa rincorrere dai suoi messi per chiedergli abboccamento: “Ut Henricus Clavenne sibi veneret”. Il fatto si svolge infatti a Chiavenna. Posta nell’ultimo lembo di Lombardia, ai piedi delle Alpi e quasi a loro chiusura, come vuole il suo nome, nella breve conca di confluenza delle valli del Liro e del Mera per cui salgono le antichissime strade che fin dall’epoca romana portano verso i valichi, Chiavenna è l’ultimo centro abitato per cui il Leone deve transitare prima di affrontare la valle impervia e solitaria che lo porta fuori d’Italia. Se deve trattare con l’imperatore non ha alternativa, deve farlo lì. In una sala del vecchio castello, ingentilita solo dalle decorazioni di un colonnato, ha luogo l’incontro. Mentre il Barbarossa si prostra chiedendo aiuto contro i Comuni lombardi uniti in lega, il giovane condottiero rifiuta alzando la mano destra, motivato dal recente saccheggio alle sue terre da parte degli amici dell’imperatore. Dietro Enrico due personaggi commentano silenziosamente la scena mentre l’imperatrice, “dignitosa e avvenente” secondo la critica del tempo, è in piedi di fianco a Federico. Le cronache contemporanee raccontano che essa accorre verso l’imperatore, rimproverandolo per una simile umiliazione, sconveniente alla dignità reale: “Sorgi, o Signore, ma non ti dimenticare mai di un fatto simile, che Iddio faccia di te vendetta un giorno”, sono le parole che fa dire il Voig all’imperatrice nella sua storia della Lega Lombarda. Completa la scena un paggio in attesa di ordini appoggiato al trono munumentale. Il quadro di Carcano si avvicina a temi risorgimentali per via di metafora: rappresentare il momento in cui il Barbarossa perde l’appoggio del cugino Enrico e di conseguenza è sconfitto a Legnano, significa voler sottolineare l’importanza della libertà appena conquistata con la cacciata degli Asburgo. E c’è un dettaglio molto esplicito a questo proposito: il tricolore che ricorre nella tela, dal tappeto al trono, nelle vesti del paggio appoggiato al bracciolo dello stesso trono e nella stessa figura del Barbarossa accostata al camminatoio verde. Carcano manifesta un’adesione ai dettami dello stile vigente, d’altronde “c’era nelle scuole accademiche di quel tempo una specie di regolamento morale che imponeva alla coscienza di ogni giovane artista il suo storico saggio romantico”. Quello che a Carcano interessa maggiormente è la descrizione dell’ambiente e delle figure, l’effetto generale e, soprattutto, la resa della luce. Infatti secondo il critico dell’epoca Gussalli questa prova accademica di Carcano segna già una nuova tendenza nell’impasto dei colori e nella finezza dei toni, e pure la commissione per il premio Canonica nota il pregio singolare di colorito, che spicca per ben trovata ed armonica intonazione specialmente nelle tre figure principali. Carcano si trova qui in una situazione analoga a quella di Faruffini: cerca di ricostruire delle scene in costume e insieme di rendere il vero, il reale. Non c’é da meravigliarsi, a posteriori, se Carcano, nello stesso anno in cui presenta il Federico Barbarossa (1862) data un quadro straordinario come Cortile a giardino con figure, effetto di sole, della Collezione Marzotto, ma lo espone prudentemente a Brera solo due anni dopo. Ad un tipo di pittura timidamente innovativa, ma sempre rispettosa della tradizione e quindi premiata con un riconoscimento ufficiale, si contrappone la contemporanea e personale ricerca dell’artista sul rapporto luce-colore. Rotta definitivamente ogni alleanza con l’Accademia … iniziava le sue ricerche di verità.
Il poeta, 1873
Il quadro faceva parte della raccolta di Carlo Borghi, il nipote del capostipite della casata di imprenditori cotonieri Pasquale Borghi. La collezione era iniziata negli anni Settanta, quando il giovane Carlo, frequentava i pittori e gli scrittori milanesi scapigliati e comprendeva opere di Cremona, Conconi e Grandi e fu poi continuata dai cugini Napoleone e Pio Borghi. Il poeta, noto anche con il nome di La passeggiata amorosa e Idillio, fu esposto a Brera nel 1873, a Firenze nel 1876 e a Napoli nel 1877. In un viale ombreggiato da alti alberi, passeggia una coppia di fidanzati in riconoscibili abiti settecenteschi. Davanti a loro sosta un levriero che sembra aver percepito qualcosa, un improvviso rumore o un odore interessante. Prevale la verticalità in questo quadro in cui tutto sembra improntato ad una cortese eleganza. Carcano si diletta in un esasperato controluce nella descrizione delle foglie degli alberi che riflettono la loro ombra sul vialetto, in rottura con il linguaggio scapigliato che prediligeva la fusione di luce e colore. Anche l’aguzzo quadrupede è stato coerentemente fornito della sua ombra riflessa. Il dipinto era stato accolto non favorevolmente dal Romussi nel 1873 che vi aveva visto un ennesimo tentativo del Carcano di voler dipingere un effetto di sole, sopra un gran frascame”, con un tale effetto di luce ed ombra che simile a un vero riflesso di sole abbaluccina la vista a chi lo guarda. La tela fu riproposta a Brera nel 1876, trasformata in un Idillio con l’aggiunta di un bel levriero e di un amante in una non bella damina in abiti settecenteschi.
Alla banda dei giardini pubblici, 1891

Alla banda dei Giardini Pubblici, 1891, olio su tela, 100×143, firmato in basso a destra F. Carcano, Collezione Privata
Il dipinto, noto anche con il titolo Musica ai Giardini Pubblici, era stato esposto da Carcano alla prima Triennale di Brera del 1891. Faceva parte delle proprietà di Ernesto Reinach, il self made man che, amato come un figlio dal barone Eugenio Cantoni, a soli diciannove anni divenne “ispettore” del Cotonificio Cantoni. Reinach diventò dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento un imprenditore di successo nel settore degli olii lubrificanti. Nella sua collezione c’erano opere di Luigi Conconi, di Paolo Troubetzkoy, Leonardo Bazzaro, Giovanni Segantini, Gaetano Previati e Luigi Rossi. Il quadro del Carcano, così apprezzato da essere appeso nel studio personale di Reinach, era ritenuto disperso, ma è ricomparso sul mercato. Lo si conosceva da una riproduzione fotografica presente nell’archivio del Comune di Milano, con il titolo Le marionette, opera che risulta esposta alla Permanente del 1912, mentre Alla Banda dei Giardini Pubblici è un’altra opera pubblicata nel 1913 da Almerico Ribera nel libro postumo Filippo Carcano Pittore. Si tratta di un’interessante sperimentazione di en plein air cittadino, con un taglio obliquo di matrice fotografica, resa con una pittura magra, a larghi tocchi, da cui compare talvolta la tela grezza. Ernesto Reinach fu arrestato dai nazisti all’età di ottantanove anni e morì di stenti durante il viaggio prima di arrivare a Bolzano. Si legga a proposito il bell’articolo di Philippe Daverio su Diario Nazionalità nemica: razza ebraica. In seguito alla persecuzione nazifascista la collezione è stata parzialmente dispersa.
Interno del Duomo di Milano, 1872

Interno del Duomo di Milano, 1872, olio su tela, cm 131x167, firmato F. Carcano in basso a destra, Collezione Privata
Dal 1872 Carcano inizia a dipingere gli interni delle chiese milanesi, ricollegandosi così alla tradizione del Migliara, di Canella e del Bisi. All’Esposizione Nazionale di Belle Arti di quell’anno propone infatti gli interni del Duomo e di Santa Maria presso San Celso che rientrano nel fortunato filone ambrosiano di pittura prospettica. L’Interno del Duomo di Milano è ricomparso sul mercato, dopo essere stato portato all’estero dal collega tedesco di Carcano Andreas Achenbach e rimasto in una collezione straniera per oltre cento anni. Al suo apparire l’opera porta finalmente critiche positive. Questo è certamente un dipinto degno d’artista provetto – scrive Appio D’Ara su “Il Sole”, che consente di apprezzare la maestria dell’artista, negli anni in cui la novità degli impianti compositivi e dei suoi tagli d’immagine suscitava dure reazioni da parte della critica, sorpresa da tanta freschezza della narrazione e da quel suo giustapporre un ambiente prospetticamente perfetto con presenze minimali di vita e di figura, in un gioco intelligente di luci ed ombre reso da una pennellata veloce. L’artista, con le spalle rivolte all’altare maggiore, riprende la navata di sinistra e parte del transetto. Focalizza un’ampia sezione della navatella mediana, chiusa sullo sfondo dalla Cappella della Madonna dell’Albero, luogo privilegiato della devozione milanese, e delimitata dalle panche destinate ai fedeli e dal basamento di un pilastro. Dalla penombra emergono particolari strettamente funzionali alla realistica articolazione spaziale dell’ambiente, come gli aggetti dei pilastri, gli spigoli delle panche, gli sbalzi e le sporgenze della decorazione gotica del candelabro Trivulzio, vero e proprio centro della narrazione e ancora il brillìo dei lumi accesi. Carcano interpreta la tradizionale e algida vedita prospettica per privilegiare il vero attraverso la resa luminosa che avvolge vibrando l’architettura e le persone. Ecco cosa ne scriveva il Chirtani: L’Interno del Duomo di Milano e L’Interno della chiesa di Santa Maria presso San Celso sono due pitture di mano maestra, e di colore succoso … La disinvoltura del Carcano nel lavoro è veramente ammirabile; egli adopera i grossi impasti, le velature, le sfregature e la coltellina, le dita e l’unghie, il manico del pennello e credo anche il curadenti se cade in acconcio, e con tutto fa bene: è destro e riesce. Gli atteggiamenti dei personaggi sono volutamente caratterizzati da un senso di casualità, a cominciare dalla bambina in primo piano, che il pittore, con rara perspicacia, sorprende in un atteggiamento caratteristicamente infantile, mentre distratta, rincorre i suoi pensieri, trattenendo l’amata bambola con la mano sinistra. Prosegue con le persone che pregano. Il touriste al centro della navatella osserva attento, sguardo rivolto verso l’alto le strutture architettoniche dell’edificio, e, infine, il chierichetto, citazine da Mosé Bianchi, che sembra procedere in direzione del pittore, piazzato appena al di qua del pilastro, riporta l’azione in primo piano, sulla stessa linea con le due figure di sinistra, le quali grazie alla loro posizione privilegiata, finirebbero per calamitare l’occhio dell’osservatore e minare di conseguenza l’equilibrio compositivo del dipinto.
In Autunno, 1883

In autunno, 1882, olio su tela, cm100x200, firmato in basso a sinistra Carcano F. , Milano, Collezione Touring Club Italiano
L’orizzonte milanese alla fine dell’Ottocento si riempe di fumaioli e di fabbriche, di altiforni e gasometri che si radicano dove muiono le ortaglie. Come osserva Raffaele Calzini quell’aggiunta al profilo di Milano era timida e mediocre; prevaleva sempre il Duomo e la stessa testuggine vetrata della Galleria. Sempre nel 1882 iniziano in via Santa Radegonda i lavori della Società Elettrica Edison associata con la Union de Gaz che assicureranno l’anno dopo l’illuminazione diffusa a tutto il centro cittadino. Carcano svolge in questa tela un tema interessante di vedutismo urbano. Alla mole della cattedrale cittadina affianca, senza pregiudizi gerarchici, una ciminiera fumante e la visione della periferia della città. Il pittore abita ora in via San Barnaba e non è difficile immaginare che abbia registrato in quest’olio soltanto ciò che vede dalla sua finestra. Con un occhio da botanico-entomologo descrive con minuzia di dettagli, oltre al garofano centrale, i nasturzi, le bergenie dalle foglie carnose e gli esili fiori delle begonie; le presenze in primo piano servono a esaltare, quasi per contrasto, l’ampia veduta della città. Presentato all’Esposizione Nazionale di Roma del 1883 l’opera è commentata da Francesco Netti: In Autunno Carcano riesce nel fermare sulla tela un’impressione fugace … sopprimendo tutte le particolarità che possono nuocere all’effetto di insieme. Nel Fondo di Vespasiano Bignami, pittore e caricaturista milanese, tra i fondatori assieme al Carcano della Famiglia Artistica, è conservato un ritaglio di giornale senza data in cui il Bignami ha apposto a mano la scritta Sarà esatto l’aneddoto?. L’articolo riporta a proposito del quadro Dalla mia terrazza, che può essere identificato con l’Autunno, che il pubblico ammira alla mostra di Filippo Carcano come una delle manifestazioni più sincere e più originali dell’arte del gran pittore lombardo, un lettore ci scrive per ricordare una cuoriosa coincidenza. Il Carcano aveva dipinto, 25 anni orsono, quel quadro per sé: aveva voluto fermare in una tela la visione di Milano, quale quotidianamente gli si affacciava dall’alto della sua terrazza in via San Barnaba, né voleva venderlo. Ma in quell’epoca la bicicletta faceva la sua proma comparsa e Carcano ne era entusiasta. Purtroppo per i pittori, però, a quell’epoca i quadri si pagavano poco e le biciclette costavano molto, cosicché quando gli fu proposto di scambiare il quadro per una bicicletta il grande pittore accettò. A quell’epoca non era più un giovanotto, ne le biciclette avevano trovato la perfezione che hanno ora, cosicché la prima volta che Carcano adoperò la sua, cadde e la rovinò. Rinunziò allora definitivamente al ciclismo e appesa la macchina al posto anticamente occupato dal quadro. A quel posto rimase per molti anni, diventando un inservibile ferro vecchio, tanto che il Carcano ridendo narrava di aver dovuto – allorché traslocò in via Agnello – pagare uno straccivendolo di portargliela via. E il quadro frattanto aveva peregrinato, e mentre le biciclette diminuivano di valore, esso saliva di valore.
Una partita al bigliardo, 1867

Una partita al bigliardo, 1867, olio su tela, cm78x106, firmato in basso al centro in rosso, sul pavimento Carcano Filippo, Milano, Pinacoteca di Brera
Carcano presentò La partita al bigliardo all’Esposizione di Brera del 1867, insieme alla tela di genere Una donna leggera. Esisteva anche una seconda versione della Partita, più grande di quella attualmente esposta a Brera e fortemente restaurata. La tela è stilisticamente molto vicina alla Lezione, probabilmente, le due opere sono state elaborate in stretta contiguità: si tratta ancora una volta di una scena dipinta da un ambiente reale e giocata su un’analoga impostazione prospettica a cannocchiale; molto rilievo è dato dal pittore alla resa della luminosità dell’ambiente. La firma del pittore, è apposta, come nella precedente tela della Lezione, con il nome prima del cognome, direttamente sul pavimento dipinto. Un’altra sorprendente analogia riguarda un piccolissimo particolare. Sul pavimento della scuola di ballo del Poletti, come su quello della sala da biliardo, poco distante dalla firma, Carcano dipinge un fiore rosa. Forse è un’aggiunta alla sua firma, una sorta di deliziosa auto citazione per ricordare il suo esordio con La piccola fioraia. Secondo la testimonianza di Ojetti la sala da biliardo dipinta da Carcano si trova in via Santa Radegonda, vicino alla famosa Pasticceria Ofelleria Baj, strada in cui meno di vent’anni dopo la Società Elettrica Edison battezzerà la prima centrale termoelettrica d’Europa. La sala è frequentata da letterati ed artisti, dai due fratelli Boccono e dallo stesso Carcano, che ama il giuoco del biliardo. Il pittore e critico scapigliato Vespasiano Bignami scrive che l’interesse di Filippo per il biliardo non è puramente artistico. Rievocando la prima attività della Famiglia Artistica nell’ampia sede del refettorio del Carmine, Bignami scrive: dalle 10 di sera in poi, finita la scuola, il flusso passava a destra. Il riparto ‘buon tempo’, rimasto sino allora vuoto e silenzioso, si ravvivava, la tastiera saltellava, le biglie correvano. Filippo Carcano sempre misurato e calmo, le guidava con magistrali colpi di stecca alla vittoria immancabile e sorrideva a labbra serrate nella barbetta biondeggiante. È interessante il fatto che i due quadri più significativi di Carcano sono stati dipinti in luoghi che il pittore frequenta anche per diletto. È stata ritrovata, in una collezione privata, la stecca da biliardo personale di Filippo Carcano, completa si custodia lignea. Osservando attentamente La partita al bigliardo si noterà che la stecca dell’artista è identica a quella impugnata dall’uomo sulla destra, mentre all’estrema sinistra, appoggiato al muro, si trova la custodia di legno. L’opera provoca subito una vivace polemica. Il tema trattato, in linea con l’esigenza di documentare la contemporaneità anche nei nuovi aspetti degli svaghi borghesi, non particolarmente insolito, offre comunque motivi di sopresa per il pubblico e per la critica. Si rinnovano le polemiche della Lezione di ballo, per il taglio molto simile e la proposta di un’altra istantanea di vita quotidiana, restituita per mezzo di una tecnica elaborata. Carcano dipinge, forse in modo provocatorio, personaggi abbigliati in costume antico, rovesciando inesorabilmente i canoni della pittura di genere che si orienta verso scintillanti rievocazioni di costumi e di ambienti neosettecenteschi. Di nuovo Carcano si misura con una scena prospetticamente ardita e reale, osservata in tutte i suoi accidenti luministici. Si osservi ad esempio la perizia con cui Carcano ha dipinto i bicchieri e la loro trasparenza sul mobile delle stecche a sinistra, i riflessi della luce sulle sedie vicine; e anche la sorprendente delicatezza con cui ha reso il tessuto dei paralumi. È da sottolineare, infine, l’abilità raggiunta da Carcano nella naturalezza delle pose. Se l’“uomo settecentesco” risulta un po’ rigido, quasi incartapecorito, con lo sguardo straniato verso il nostro campo, le due figure accostate al biliardo sono dipinte con un’eccezionale maestria. Questo importante quadro di Carcano è poi diventato celebre, a posteriori, perché alcuni pittori divisionisti lo hanno citato come un precedente della ricerca sulla divisione dei colori. In breve Carcano avrebbe applicato nella Partita a biliardo un’empirica divisione in colori puri. Giustamente Macchi lo definisce un Bigliardo miniato in tutti i colori dell’iride. La vicenda inizia con l’articolo di Vittore Grubicy su Segantini e la divisione ottica del colore, pubblicato in “Cronaca d’Arte” il 14 giugno 1891. L’intenzione di Grubicy è di fornire un commento alle opere di Segantini e una teoria sulla genesi del divisionismo. L’idea è che Cremona, Carcano, Ranzoni e Fontanesi siano arrivati empiricamente alla divisione dei colori tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Nel catalogo che accompagna la mostra postuma dedicata al Ranzoni presso la Permanente, Grubicy sostiene che la divisione dei colori è stata già adottata, in ambiente milanese, molti anni prima da Carcano. In realtà si tratta di una posizione discutibile perché Grubicy vuole riconoscere a posteriori nella Partita a biliardo un incunabolo della tecnica divisionista. Il pittore e mercante percepisce nelle palle da biliardo l’applicazione di colori puri da parte dell’artista; oltre quelle di color avorio con lumeggiature, abbiamo sul tavolo una palla rossa da carambola (in rispondenza della colorazione delle tende), una palla verde con qualche spunto rossastro ed una palla rosso-aranciata, in riflesso cromo-luminoso dei colori circostanti, del verde del tappeto al bruno del legno del biliardo. La soluzione di Carcano non è né improvvisa né casuale ed è anche semplice da spiegare. Essa si lega alle analisi del colore compiute dal pittore fin dal ’62, visibili nei fiori della Piccola fioraia, sostanziandosi poi nelle filettature quasi a bastoncino, di rossi e di blu presenti in alcuni abiti femminili di La lezione di ballo, che non sono certo disegno ma materia colorata tesa a rendere più tangibile la realtà degli oggetti. La critica, dopo l’uscita di Grubicy, ha dunque focalizzato l’attenzione su Carcano come precursore del metodo divisionista. Il dipinto in questione fu acquistato per ottocento lire dalla Società per le Belle Arti proprio nel 1867 e viene assegnato per sorteggio all’ingegnere Carlo Besana, assessore ai lavori pubblici di Milano, garibaldino e libero pensatore, amico di Emilio Longoni.
Alta Brianza, 1907
Coeva a La campagna di Orsenigo è Alta Brianza, sempre del 1907, esposto alla mostra della Permanente. Un grande olio rappresentante il Lago di Alserio sotto Como con il Resegone sullo sfondo. Carcano dimostra ancora una volta la sua maestria nella composizione dell’immagine, che risulta particolarmente gradevole per il concatenarsi dei piani e per la scelta dei colori, resi evidenti anche dall’ottimo stato di conservazione del quadro.